di Casale & del Monferrato Associata CSVA (Centro Servizi Volontariato della Provincia di Alessandria) Iscritta al Registro delle Organizzazioni di Volontariato:Comunale - Provinciale - Regionale.
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| Castello di Casale Monferrato Nel 1352 Giovanni II Paleologo fece iniziare la costruzione del castello, verso ponente, sulla corona delle mura, in luogo strategicamente interessante per la presenza del fiume Po e dell'imbocco della strada che, uscendo dalla Porta Acquarola, sale alla collina. Interessante notare cosa scrisse Giacomo Giacinto Saletta, segretario ducale del Consiglio di Stato del Ducato di Monferrato: " il Castello di casale ne' più antichi tempi non consisteva che in gran torre di forti mora, attorniata di fossa verso occidente. Dall'eccellentissimo signor Principe Giovanni , figlio et successore dell'eccesso Principe Teodoro, il primo de Paleologi Marchesi del Monferrato, nell'anno mille trecento cinquanta due, fu fatto allargare in pianta di forma quadrilunga con quattro torri circolari contraminate et competente fossa. La precisa datazione, l'accenno alla sua morfologia, il riferimento alla Porta Acquarola, sul cui fianco si innestò il castello, inducono ad affermare l'esistenza di un piccolo nucleo fortificato, tanto più che una grossa torre quadrata, diversa per morfologia dalle torri rotonde d'angolo, è tuttora incorporata nel castello. Si tratta senz'altro, considerando la collocazione ipotizzata di Porta Acquarola, di quella "turris magna versus portam Acquarolii" che risulta facente parte dell'impianto originario del castello. Questo è il nucleo su cui si innestò, a metà del trecento, il castello di Giovanni II. Un quadrilatero di mura con quattro torri cilindriche, forse già a base scarpata, circondato da un fossato e, oltre questo, una siepe, protegge il suo interno il palatium, fortificato, che possiede una merlatura ed ha l'ingresso vigilato da una bertesca. Sia il recinto murario che il palazzo sono dotati di opere semi permanenti: i cammini di ronda, realizzati con assi di quercia; le "battaglierie", simili alle bertesche, sul muro di cinta, sono in legno, con una copertura di coppi, come pure i "mantelli", a protezione, sopra le torri. Dalla parte del borgo c'è l'accesso, dotato di ponte levatoio. Invece verso l'area extra urbana, c'è un ponte fisso, detto "ponte morto", difeso da un rivellino, forse costruito da una torre, visto che è nominata una "torre del rivellino". Per la difesa ci si avvale in larga misura delle armi da fuoco: è del 1376 la direttiva comunale di rinnovare le scorte di polvere da sparo. Tuttavia, ancora nel secolo seguente, le macchine belliche da getto godono di buona considerazione. Questo è il castello originario. Nel quattrocento l'inizio della trasformazione del castello fu per opera di Guglielmo VIII Paleologo, nell'anno 1469. La giusta versione è quella di Galeotto del Carretto, casalese, coevo dei fatti, legato alla corte paleologa: egli scrive che Guglielmo restaurò il castello e che il fratello, Bonifacio V, a lui succeduto nel 1483, lo completò "cum rivellini d'altra foggia che la prima". Già in precedenza l'interno della fortezza aveva subito trasformazioni: nel 1440 è ipotizzabile l'ammodernamento di una parte del palazzo, l'edificio castellano, con funzioni di dimora principesca. Col passaggio ai Gonzaga, dopo la pace di Cateau-Cambresis nel 1559, si fanno pesanti le preoccupazioni per la difesa della città e Guglielmo Gonzaga, con la consulenza di Vespasiano Gonzaga, l'ideatore di Sabbioneta, città murata del mantovano, a pianta poligonale, trasforma quella che era stata la nobile residenza paleologa in una vera e propria "macchina da guerra". Egli potenzia i fianchi del castello, le torri e aggiunge i quattro poderosi rivellini, mentre il figlio Vincenzo, a sua volta, raddoppia le difese, realizzando, sul finire del cinquecento, su una vasta area libera a sud della città, quel grandioso progetto di costruzione di "una cittadella di sei baluardi reali, e tale come egli stesso afferma in una lettera che forse non nè sarà un'altra in Italia" ad opera del Savorgnan. Tre anno dopo, ispirandosi alla cittadella casalese, sorse la celeberrima Palmanova, massimo esempio tuttora vivente di città-fortezza. Dicevamo dei rivellino, e poderose difese esterne: nel 1567 viene costruito il primo rivellino, di Santa Barbara, nel giardino verso il Po, poi, tra il 1570 ed il 1574, vengono costruiti gli altri: San Giorgio verso la collina, Santa Maria verso la città e San Martino di fronte alla cortina nord. Un nuovo fossato circonda il complesso delle fortificazioni. Per permettere la realizzazione di queste fortificazioni, c'era anche una lunetta rivolta verso la collina, vengono abbattute novanta case. Il castello con i suoi quattro torrioni tronco conici, che contengono ognuno due ordini di casematte sovrapposte, ed erano chiamati: "torre della casetta", "del giardino vecchio", "del Po" e "della collina", fu definito da Gaspare Beretta, ingegnere militare del duca di Savoia, caduto prigioniero dei Gonzaga, "un solido macigno difficilmente espugnabile". Sotto il domini dei Gonzaga il castello fu arrichito di preziosi arredi e di una chiesetta dedicata alla Madonna, consacrata nel 1620 dal vescovo Scipione Pescale, una scritta ricordo è tuttora visibile sulla porta. La cappella fu decorata con dipinti del Musso e dell'Alberini, che affrescarono anche la "galleria" de forte, posta verso Po. C'è da ricordare che la chiesa era sede di parrocchia. Nel cortile verso Po c'era un giardino dove i signori del castello, d'estate andavano a prendere il fresco. Vennero anche abbelliti i giardini pensili del Belvedere. Nuovi riadattamenti a fine seicento, secondo i consigli dell'architetto militare Sebatien le Preste, marchese di Vauban. Trascorrono gli anni, ed il castello passa ai Savoia, che asportano dal maniero arredi preziosi, dipinti e statue della "galleria", mandati ad impreziosire Palazzo Reale di Torino. Ma i savoia, come già i Gonzaga, dovettero provvedere a difendere il castello dalle acque del Po, che durante le piene minacciavano di allagarlo. Nel 1745 le truppe francesi e spagnole occuparono la città e il comandante del castello , Des Roches, di origine irlandese, avendo il maniero subito danni, tratta la resa. L'anno dopo tocca alle truppe francesi di occupazione difendere il fortilizio, ma dopo tre giorni di assedio, la guarnigione francese si arrese ed il castello torna ai Savoia. Nel primo 1788 il Primo ingegnere di sua Maestà, il luogotenente generale Spirito Benedetto Nicolis di Robilant, durante una ricognizione generale al Piemonte ed alla Savoia, visita il castello. La sua relazione scritta ci presenta una planimetria simile a quella attuale: i quattro lati, di cui due allungati con cortine salienti, i quattro torrioni d'angolo, i rivellini sul fronte delle quattro cortine, il fossato. L'ingresso è assicurato da due ponti levatoi. Come difesa, sui torrioni, ci sono affusti marini anzichè da campagna, per consentire una manovra più comoda. Durante il periodo napoleonico le truppe francesi cinsero d'assedio il castello: Napoleone ordinò la demolizione del forte, che poteva spazzare tutta la pianura con le sue artiglierie, ma il maniero fu salvato. Nel 1808 il castello non è più sede di parrocchia e passa sotto la giurisdizione di santo Stefano. Nel 1846 il forte, al comando del barone Solaro di Villanova, rappresenta il fulcro di difesa contro gli Austriaci, dopo la sconfitta di Novara. L'ultimo atto guerresco legato al castello è stato la difesa del marzo 1849 contro gli Austriaci del generale Francesco Wimpffen, quando il vecchio governatore Alessandro Solaro di Villanova, alla richiesta della resa, disse che si sarebbe fatto seppellire sotto le macerie piuttosto che arrendersi e consentire al nemico di entrare in città. Il rilevante sviluppo economico Casale pone all'amministrazione comunale l'urgente problema del reperimento di spazi pubblici più ampi per organizzazione di fiere e mercati; di qui la richiesta, accolta nel 1856 dal generale Lamarmora, allora il Ministro della Guerra, di abbattere il rivellino verso la città; così nasce la prima Piazza Castello. Tra la fine dell'ottocento e l'inizio novecento il castello, per esigenze urbanistiche, fu privato delle ultime storiche vestigia, con l'abbattimento dei restanti tre rivellini e della lunetta. Di queste demolizioni abbiamo a ricordo splendide immagini di Francesco Negri. Da allora inizia il suo lento e costante degrado, ha raggiunto livelli molto preoccupanti. In Italia abbiamo fortificazioni che hanno mutato, con il tempo, destinazione ed uso. E' un patrimonio architettonico da valorizzare e da salvare. Il castello, posto nel centro storico cittadino, accanto alla zona pedonale, di facile accesso, con il grande parcheggio antistante può veramente diventare un "punto di riferimento" per la città. ricerche a cura di Federico Cappello.
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