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Tempio di Mitra Relazione Torielli Gli Scavi

 

By. Federico Cappello

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Ottiglio e la Grotta dei Saraceni: le tre Epigrafi

Esiste un mistero, un vero e proprio enigma, celato in tre epigrafi, proprio come in una vera caccia al tesoro.
Ma non parliamo di un tesoro composto da oro, diamanti e ricchezze materiali, bensì di un tesoro archeologico e speleologico unico in Piemonte e forse in Italia.
Nel 1571 il conte Corrado Mola di Ottiglio riesce a penetrare all’interno della Grotta dei Saraceni, visita gli ambienti e li descrive minuziosamente.
Nel 1626 il conte Fabrizio Mola di Ottiglio redige un documento in cui descrive minuziosamente questo luogo nel quale ci dice di aver trovato un tempio dedicato al dio della luce e del sole: Mithrà.
Usata dai Saraceni come rifugio e nascondiglio dei tesori rubati durante le loro incursioni in Monferrato antecedenti l’anno Mille, venne adoperata da briganti e grassatori per lo stesso motivo ancora nel 1600.
Pare che la grotta in questione fosse segnalata al catasto già nell’anno 1486.
Sarà il governo mantovano, nel 1626, a far franare gli accessi nella speranza di seppellire chi fosse rimasto al suo interno e di impedire futuri accessi ad altri malintenzionati.
Proprio in quello stesso anno, Fabrizio Mola di Ottiglio, stando ai suoi scritti, riuscì a penetrare ugualmente in quelle grotte. Forse liberò un accesso mal ostruito o forse ne sterrò uno.
Scrisse inoltre una relazione in merito alla sua visita, includendo una restituzione di massima degli ambienti scoperti.
Tale materiale è da considerarsi preziosissimo in quanto descrive il fantomatico Mitreo, essendo riuscito a vederlo entrando nel complesso attraverso a qualche cunicolo oggi ostruito.
Ma dobbiamo attendere l’inizio del secolo scorso, e più precisamente l’anno 1926, per scoprire il documento creato trecento anni prima, dal conte di Ottiglio.
Esso era infatti nascosto tra le pagine di un vecchio libro custodito nella biblioteca del seminario di Casale.
A compiere questa importantissima scoperta fu Pietro Maschera, un nome importantissimo legato a questo luogo ed alle prime ricerche di un certo rilievo all’interno delle grotte.
Tra le pagine ingiallite l’autore narra della sua visita alle caverne che si trovano all’interno del Colle di S. Germano. Sarà lui a descrivere il mitreo sotterraneo, con la piramide ricavata nella roccia e le sedute dei sacerdoti ricavate in alcune nicchie.
Sempre secondo il suo resoconto ci sarebbero state statue di bronzo, rotoli di pergamena, maschere di pietra ed altri oggetti di importantissimo valore archeologico,oltre ad alcuni altari ricavati, scavati nell’arenaria.
Questo complesso sotterraneo prende il nome di Grotta dei Saraceni.
La lettura di questa sua esplorazione riserva un’ulteriore sorpresa, pare infatti che il Mola abbia rinvenuto in un’altra caverna un deposito dei Saraceni.
In quest’altra cavità ci sarebbero state le armi ed il loro bottino, ottenuto durante le razzie monferrine che gli arabi effettuarono tra il 930 ed il 970 d.C.
In attesa del loro recupero, il conte nascose il tutto in quattro nicchie che poi ostruì con altrettante lastre di tufo (in realtà arenaria e pietra da cantoni), sulle quali incise scritte o simboli per permetterne un ritrovamentomsuccessivo.
Al posto del Mola chiunque avrebbe recuperato il più possibile e si sarebbe tenuto stretta l’informazione.
Invece la storia vuole che agisse in questo bizzarro modo perché "i tempi non erano maturi".
Ricordiamoci che l’ostruzione degli accessi avvenne proprio quell’anno e forse questo fu il motivo che lo indusse ad agire con più freddezza e razionalità.
Il governo mantovano era quindi a conoscenza di alcuni accessi ma ne ignorava altri, quelli adoperati dallo stesso Mola.
Per ritrovare questi ingressi il conte Fabrizio Mola fece creare tre epigrafi contenenti dei messaggi criptici. Il loro studio e la loro decodifica avrebbe indicato il luogo dell’ingresso da lui adoperato.
Una di queste venne collocata sul proprio castello e le altre due su altrettante chiese di Ottiglio. Pietro Maschera non era a conoscenza di questo altro fatto mentre lo scrittore/storico Aldo di Ricaldone, durante i numerosi anni che dedicò allo studio delle Grotte dei Saraceni, ebbe modo di scoprire il segreto del conte Mola.
Identificò le epigrafi e comprese l’arcano contenuto, scoprendo il punto indicato.
Nonostante la scoperta non si riuscì ad accedere a quei luoghi, forse a causa dei detriti che ostruivano gli ingressi.
Una lapide è ancora presente sul castello di Ottiglio, mentre le altre due sono state rimosse e messe al sicuro.
Attualmente non sappiamo dove e da chi siano state spostate. E’ infatti nostra intenzione poterle studiare per verificare se i messaggi criptati non possano dare luogo ad interpretazioni differente da quella del di Ricaldone.
Il manoscritto recuperato dal Maschera fu da egli stesso distrutto a causa dei problemi sorti durante gli scavi che aveva organizzato, probabilmente legati all’intervento delle forze dell’ordine chiamate dai proprietari del terreno in cui avveniva lo scavo abusivo.
Le poche informazioni in merito al luogo indicato dalle tre epigrafi ci giungono dal di Ricaldone che ci spiega che era necessario tracciare una retta sulla carta del luogo.
Questa retta univa i punti A e B.
Dal punto B si doveva procedere ad angolo retto fino al punto C. Ottenuto il segmento BC lo si doveva alzare di 30 gradi, incontrando il punto D, che coincideva con l’ingresso secondario adoperato dal Mola per entrare nella grotta dei Saraceni.
Ottiglio e la Grotta dei Saraceni
Infatti pare che le epigrafi non fossero solo tre, ma addirittura quattro.
Il conte di Ricaldone talvolta ci parla di tre epigrafi, altre volte di quattro. Inoltre dice che esse sono state rimosse e poste al sicuro da alcune persone di cui lui faceva parte.
Eppure un’epigrafe compare attualmente sulla facciata della chiesa parrocchiale di S. Germano. Non ha nulla a che fare con quelle della leggenda o non è stata mai rimossa. In questo ultimo caso, perché?
Essa cita una frase certamente enigmatica, all’apparenza dotata di poco senso: Ep. 2 "1571 Li 21 Aprile Lina II Gallina nera fece ovo bianco"
Ad una lettura superficiale non appare nessun elemento legato alla Grotta dei Saraceni, fatta eccezione, forse, per l’anno 1571, corrispondente alla data della presunta prima esplorazione da parte di Corrado Mola, padre del Fabrizio che ci lascerà la testimonianza nel 1626.
Gli studi che abbiamo portato avanti ci hanno fatto trovare anche un altro elemento che sarebbe in relazione con lo studio in esame, attualmente in corso di verifica.
Siamo ancora lontani dalla soluzione definitiva a questo mistero anche a causa dell’impossibilità di recuperare i testi delle altre epigrafi, se non della prima, che il di Ricaldone cita in un suo articolo: Ep.1 "L'anno mille sei cento venti sei / li fu fatto rottura a tutti sei"
L’anno 1626 corrisponde esattamente con la data in cui il governo fece esplodere gli ingressi, probabilmente sei, e così l’intera frase acquista senso.
E’ un vero peccato non poterla visionare di persona perché è possibile che su di essa siano stati incisi anche altri elementi, così come quella della "gallina" contiene anche una data anteposta alla frase. Con questi scarsi elementi alla mano non ci è possibile nemmeno ipotizzare un luogo di partenza, come le indicazioni lasciateci dal di Ricaldone suggerirebbero.
Della epigrafe Ep.1 sappiamo inoltre che misurava 56cm di base, era alta 15 e profonda 16, scritta in stampatello.
Durante le operazioni di rimozione fu trovata sul retro una nicchia che custodiva, infilzata su di un chiodo, una pergamena illeggibile.
Infatti durante la guerra del 1944-45 l’edificio aveva subito un incendio.
Dove si trovano ora queste epigrafi? Sono state poste veramente al sicuro. Dove?
Tornando alla Ep. 2 notiamo solamente un altro legame con le grotte dette dei Saraceni. La data, appurato che l’anno potrebbe essere messo in relazione con la prima esplorazione dell’ambiente ipogeo, indica il 21 Aprile.
In quella giorno si entra sotto il segno del Toro, elemento alla base del culto misterico del mitraismo. E’ infatti il toro ucciso da Mithrà che genera la vita sulla terra.
Messa da parte questa nostra improbabile interpretazione non vediamo altri legami con la complessa storia delle grotte di Ottiglio.
Occorre capire se questa epigrafe non è stata presa in considerazione, e di conseguenza rimossa, in seguito ad un studio che ha appurato la sua non appartenenza all’intricata vicenda oppure se un significato crittografato sia mai stato colto da nessuno degli studiosi che se ne sarebbero occupati.
Ma l’enigma dei significati enigmistici ed ermetici non si esaurisce nemmeno in questo contesto. Il fatto di non poter studiare le epigrafi e nemmeno poter avere i testi su di esse riportati a disposizione, in quanto sparite nel nulla, ci ha suggerito di cambiare direzione degli studi.
La presunta mappa del conte Mola, ritrovata dal Maschera e da egli riprodotta per ricalco, in realtà faceva parte di un gruppo di quattro fogli piegati.
Cosa vi era riportato, oltre alla mappa riportata sulle loro pubblicazioni dal Torielli, da il di Ricaldone e dal Fenoglio?
Pare vi fossero dei disegni degli oggetti trovati dal conte Fabrizio Mola durante le sue perlustrazioni, vasi e d'impedimento, forse del tesoro stesso che lui scrisse di aver sigillato in alcune cavità della grotta.
Ma in seguito a più approfondite ricerche troviamo una differente pubblicazione della mappa del Mola. Infatti nelle pubblicazioni citate poco sopra è presente solo la metà destra del foglio lasciato dal conte di Ottiglio nel 1626, raffigurante la mappa.
La parte sinistra, volutamente asportata dalle relazioni e dagli articoli scritti, contiene alcuni simboli ed elementi, a nostro avviso, di notevole importanza.
Si tratta di alcune simbologie che raffigurano elementi dall’aspetto esoterico e di alcuni approssimativi riferimenti sull’inquadramento geografico della grotta.
Le domande nascono spontanee. Perché sono stati omessi dalle pubblicazioni indicate?
Gli studiosi contavano di estrapolare i significati di quelle figure e di avanzare nelle indagini in modo discreto?
Erano per caso elementi decorativi aggiunti in fase di ricalco dallo stesso Maschera e quindi non riportati in quanto fuorvianti?
Ed infine, gli originali nati per ricalco dal Maschera, dove sono finiti?
Che significato hanno i simboli tenuti nascosti? L’indagine, anche in questa direzione, merita di procedere.
Bibliografia
Franz Cumont : "Les Muysteres de Mithra" – Bruxelles 1913
Iorio Ruggero : "Mitra" – Marsilio 1998 – pp 130
Merkelbach Reinhold : "Mitra. Il signore delle grotte" – ECIG 1998 – pp 304
Aldo di Ricaldone : "Monferrato tra Po e Tanaro" - Edizione SE.DI.CO. Libraria ed 1999 pp 2088
Pierangelo Torielli : "La grotta dei Saraceni - 1958-1994" - 1994
Alberto Santacroce : "Ricerche archeologiche nella Grotta dei Saraceni presso Ottiglio Monferrato" – Torino
dicembre 1959.
Aldo di Ricaldone : "Il Monferrato" – articoli pubblicati tra il 1984 ed il 1985.
Alberto Fenoglio : "A caccia di tesori, magia e realtà nei castelli piemontesi." - Torino, Piemonte in Bancarella,
1978. - pp. 275
Alberto Fenoglio : "Archeologia magica." - MEB
Alberto e Maria Fenoglio : "Fantasmi, spettri e case maledette" – Rusconi Libri
Alberto e Maria Fenoglio : "Le Società Magico Segrete - Massoneria, riti e rituali, cerimonie e magia nei
sotterranei." – MEB Edizioni – pp- 206"
"Nuovo Stabilimento Balneario di acque sulfuree-minerali alla Curella", a cura della Regione di Moleto -
Casale Monf 1866
G. Piccolini : "A zonzo…", p 593 ss
Dionigi Ruggero : "Ottiglio, ritratto di un paese del Monferrato"
Massimo Centini : "Guida insolita del Piemonte", Newton e Compton

 

Un tempio dedicato al culto di Mitra nelle mitiche caverne dei Saraceni?

La redazione di una scoperta (forse del conte Mola di Ottiglio) con il tesoro nascosto sotto quattro grandi lastre di tufo - Tre epigrafi del 1626 ritrovate trecento anni dopo.
Ma non è da credere che i lavoranti della frazione Prera, nel febbraio del 1927, dopo l'allontanamento di Pietro Maschera, sospendessero gli scavi. In una ventina di giorni vuotarono le cavità iniziali, completamente occluse dal terriccio collocatovi nel 1626, per le cause che diremo.
 
Apparve una tavola di tufo lunga circa m. 1,50. larga cm. 70 circa, addossata ad un sedile scavato nella parete dove, entro un rettangolo si leggeva la scritta: extra limen. Sul tavolo erano alcuni vasi di bronzo adorni con fregi di rose. Con i vasi furono scoperte delle "facce" diceva Alessandro Cressano, che scavò con gli altri possidenti della frazione Prera: "facce da noi rotte perché facevano spavento".
Al centro della cavità apparve un masso a forma di piramide tutt'oggi visibile nella sommità.
Nessuna galleria essendo apparsa, i lavori furono sospesi e il tutto abbandonato. Le camere ed i cunicoli vennero occlusi nuovamente nel 1927-1928 per i motivi che diremo.
In tal modo si concludeva la prima campagna di scavi, documentata. nell'ingresso delle caverne dei Saraceni.
Nel pubblicare in forma sintetica, oggi, per comprensibili ragioni di spazio, il contenuto del fascicolo scoperto da Pietro Maschera nel 1926 avvertiamo che l'anonimo relatore (con qualche probabilità da noi identificalo con il conte Fabrizìo Mola di Ottiglio) più che sulle vicende saraceniche, fissò il proprio interessamento sulla presenza di un tempio dedicato al culto di Mitra, ossia del Sole, presente negli ipogei del colle diSan Germano.
I commenti e le chiose nostri seguiranno il sunto del fascicolo. Il Relatore dunque inizia il suo esposto scrivendo "nella camera terrena del mio castello sito in Monferrato". Precisa egli di essere a conoscenza delle caverne, perché tra la corte di famiglia trovò scritti ad esser relativi, ma di non esservi mai penetrato in (testo illeggibile) ostruito.
Il castello di Ottiglio. Disegno del 1709 del notaio Francesco Martinetto da Conzano, presso l’Archivio di Stato di Alessandria.
Vasi lustrali in bronzo e in tufo, negli ipogei di San Germano.
Dal documento del 1626, redatto dal conte Fabrizio Mola di Ottiglio.
Senonché un giorno alcuni ragazzi spinti dalla curiosità entrarono nella "casa della verità" (con tale espressione il Relatore definisce gli ipogei di San Germano) rimanendovi "ab ortu solis usque ad occasum".
In paese (il nome è taciuto, ma con tutta probabilità trattasi di Ottiglio) già erano ritenuti smarriti ed alcuni volonterosi si preparavano alla loro ricerca, quand'essi ritornarono nel borgo recando "una polvere color dell'oro" e narrando a chi avesse la pazienza di ascoltarli, di aver visto nelle caverne strani oggetti.
A questo punto il Relatore, osservando che i ragazzi "andarono là dove non dovevano" si recò personalmente nelle caverne per un controllo. Scoprì egli gli oggetti di culto del Mitreo, quali statue di bronzo e in tufo. Rotoli di pergamene, paramenti e le offerte dei fedeli che costituivano il "tesoro" del tempio. In una successiva caverna giacevano gli «impedimenta» ossia le armi, le salmerie, il bottino dei Saraceni.
Il materiale trovato fu rinchiuso in quattro grandi nicchie sigillate poscia con lastre di tufo, contrassegnate da altrettanti simboli per poterle più facilmente reperire. Seguono le descrizioni dei paramenti sacerdotali mitraici, con annotazioni abbastanza fitte sul culto di Mitra e sulle cerimonie religiose in atto nelle caverne. Risulterebbe indire che le cavità del colle di San Germano, in certi
tratti, sono a due piani entrambi ad altezza d'uomo. Si descrive inoltre il corso d'acqua che zampilla nella caverna centrale per diramarsi in torrentello nella galleria più ampia.
Il Relatore disegnò anche la mappa del percorso principale con vari simboli utili per il ritrovamento del materiale nascosto. Nulla, a suo dire, fu riesumato perché "tempi non erano maturi". Dopo annotazioni di vario tipo, anche religiose ed esoteriche, il Relatore precisa che a motivo della successiva situazione creatasi in sede, egli collocava su chiesuole della zona e sul proprio castello (di Ottiglio) tre epigrafi, con le indicazioni per reperire l'ingresso delle caverne, essendo quello usuale e noto ormai inutilizzabile per i fatti in quegli anni accaduti, da lui non precisati, ma che troveremo sintetizzati nel manoscritto dell'abate Giuseppe Antonio de Morano, scoperto dall  scrivente nel 1956. Pietro Maschera ignorava totalmente l'esistenza. delle lapidi da lui del resto nemmeno cercate, dopo la burrascosa conclusione dello scavo dei 1926-1927.
Esaminata con attenzione la zona si scoprirono nel 1955-1956 le tre- epigrafi murate dal Relatore, due su altrettante chiese romaniche nell'area comunale di Ottiglio, una terza sul castello. I massi di tufo con le iscrizioni e le indicazioni criptografiche furono posti al sicuro. Nel rimuovere l'epigrafe che reca la scritta incisa in bei caratteri stampatelli: "L'anno mille sei cento venti sei / li fu fatto rottura a tutti sei" che misura cm, 56 (base) x cm. 15 (altezza) x cm. l6 (profondità), si scoprì una piccola nicchia retrostante il blocco tufaceo, entro la quale un grosso chiodo rugginoso recava infilzato un quadrato di pergamena ormai carbonizzato, perché nel 1944-1945, l'edificio, per eventi bellici, fu dato alle fiamme.
Dapprincipio non fu possibile decifrare il criptogramma. Fu soltanto nel 1968-1969, dopo le successive indagini delle quali diremo, che si giunse all’interpretazione del problema. Si trattava di tracciare sulla mappa topografica della zona da un punto A ad un punto B, una retta, facendola proseguire sul punto C ad angolo retto: alzata la linea B-C di 30 gradi, il punto D così ottenuto
avrebbe indicato l'ingresso utilizzabile per l'entrata nelle caverne.
Inutile forse aggiungere che pur conoscendo con .abbastanza buona approssimazione il luogo d'accesso alle grotte non è stato possibile entrare negli ipogei di San Germano che tutt'oggi mantengono intatto il loro segreto.
 
II culto solare al toro documentato a Ottiglio
La scoperta di un bucranio sul colle di San Germano - Teste all’ingresso delle caverne
Il documento scoperto da Pietro Maschera nel 1926, da noi sintetizzato al massimo grado, è a nostro giudizio, da ritenersi valido
per i motivi che esporremo i quali lo confermano in ogni sua parte.
Il Relatore, come dicemmo, si interessò più che alla presenza dei Saraceni nelle caverne di San Germano, all'esistenza di un tempio del Sole ossia Mitreo, in età romana in tali grotte.
Precisiamo che Mitra, uno dei tanti nomi con i quali fu adorato il Sole, è divinità vedica del periodo indo-iranico, diffuso nel mondo orientale e giunto a Roma nella metà del I secolo A.C..
A cominciare dall'età dei Flavii la religione di Mitra si diffuse con straordinaria rapidità soprattutto con il perfezionamento dell'immensa rete stradale dello Stato. Nessun culto lasciò tanti monumenti sparsi ovunque nelle Province Occidentali dell'Impero. Il culto di Mitra. quale religione misteriosofica, fu essenzialmente culto virile, divulgato dalle Legioni che portavano la civiltà di Roma in Europa.
II Mitraismo divenuto religione di Stato con i Severi, fu il rivale più temibile del Cristianesimo, come ampiamente documentano i testi di storia delle religioni, tra quali di particolare significato per l’argomento in esame, quello di Franz Cumont: Les Myusteres de Mithra, (Bruxelles 1913).
I templi, chiamati Mitrei, erano sotterranei, in grotte e caverne, per la celebrazione del solstizio d’inverno,
allorché Mithra, - il Sole – nasceva in una grotta, in quanto, il 22 dicembre, il Sole cessa di allontanarsi
dall’equatore per avvicinarsi alla Terra.
I Mitrei sono abbastanza comuni nei territori romanizzati e noi abbiamo ampiamente documentato, nella serie di studi apparsa su queste colonne nel 1983, la toponomastica romana dell’area comunale di Ottiglio e la diffusa presenza della civiltà di Roma
nella regione. Non può quindi suscitare stupore la presenza nelle caverne di San Germano di un tempio dedicato al culto Mitraico o Solare.
A maggior ragione se consideriamo come l’animale sacro, cioè il toro, simbolo della virilità e della fertilità – sul quale si impernia la cerimonia conclusiva del culto Mitraico – non fu affatto obliterato dopo il sopravvento del Cristianesimo. È nota la presenza nelle campagne, ossia nei territori dei Bassorilievo con bucrani, che pare sia venuto alla luce sul finire del decorso secolo, nella valle dei Guaraldi, presso l’ingresso delle caverne dei Saraceni.
Il tronetto in tufo, scoperto nel corridoio della cella campanaria della distrutta chiesa di San Germano.
Evidente, se pure spaccato, il bucranio che orna lo schienale.
Pagi romani, ancora per secoli, della figura taurina, chiamata specificatamente bucranio, scolpita nelle chiese paleocristiane e romaniche in molte versioni.
Se aggiungiamo che vari culti eterodossi, quali ariani, catari, albigesi, manichei, furono presenti nelle nostre terre dopo il crollo dell’impero e l’occupazione longobarda e carolingia, si spiega il substrato Mitraico miscelato a varie credenze che nelle regioni decentrate, quindi isolate, si mantenne più a lungo vivo. Di particolare significato per noi, è la presenza dei manichei in
Monferrato. Sappiamo che la dottrina Manichea fondeva l’insegnamento della Bibbia con il culto Mitraico: insegnamento proseguito dai Catari o Albigesi presenti anch'essi nel XII - XIII secolo nelle nostre terre.
I Manichei sono documentariamente attivi nella zona di nostro interesse al punto da costringere nel 1083 Ariberto, arcivescovo di Milano, ad un drastico intervento per estirpare l'eresia Manichea.
Centro di tale setta, in quegli anni, fu Calliano, dove la famiglia dei Signori di Calliano, ramo dei conti di Montiglio, era il fulcro della diffusione della dottrina manichea.
La "comitissa" ossia la contessa, vedova di Gerardo di Calliano, trascinata a Milano, fu arsa viva con i figli in tenera età e con molti suoi vassalli colpevoli di non aver ripudiato l'insegnamento manicheo, che ovviamente non fu estirpato del tutto, ma sopravvisse in forme più o meno occulte nella regione. La presenza nelle pievi alto-medievali dell'emblema taurino è chiaramente collegato al culto solare ed al toro che del culto stesso era l'animale sacro, come del resto hanno riconosciuto eminenti studiosi dell'argomento. Un caso fortunato ci consente di documentare, proprio sul colle di San Germano, quanto esposto, con la scoperta di un manufatto risalente agli albori del Millennio e fors'anche databile ad età anteriore.
Si tratta di un seggio o tronetto ricavato da un blocco unico di tufo che reca sullo schienale scolpito il bucranio, ossia la testa del toro. I vari frammenti della scultura, colorati di vernice azzurra, trovati nel corridoio della cella campanaria della distrutta chiesa di San Germano, ci consentono la chiara ricostruzione del manufatto. La sua base semicircolare misura cm. 46 x 33. Due colonnine reggono le fasce che unite compongono lo schienale ornato del capo di toro, spaccato in parte, ma identificabile con assoluta certezza.
Le modeste dimensioni del tronetto dimostrano che esso sorreggeva una statua di divinità di ridotta entità, ma di quale divinità debba trattarsi, si ignora.
Pare inoltre - ma la notizia è incerta - che in epoca imprecisata emergesse nella valle dei Guaraldi, presso l’ingresso ufficiale delle caverne dei Saraceni, un bassorilievo con varie teste di toro rozzamente scolpite.
 
Ottiglio e la Grotta dei Saraceni: la leggenda della Maga Alcina
E’ diffusa la credenza che la "Grotta dei Saraceni" di Moleto, frazione di Ottiglio sia un luogo in cui abbia vissuto la maga Alcina e dove, tuttora, risieda il suo spirito.
Ella sarebbe stata la custode del tempio sotterraneo presente all’interno del colle.
Nel 1993 leggevo per la prima volta un testo sulla grotta dei Saraceni.
Era un trafiletto di poche righe riportato in un libro intitolato "A caccia di tesori, magia e realtà nei castelli piemontesi".
L’impostazione del libro vedeva una raccolta di testimonianza miste a leggende relative a cunicoli, tesori e fantasmi, mescolate in modo tale da darsi reciproco credito vicendevolmente.
L’aneddoto relativo alla maga Alcina catturò la mia fantasia e rimase impresso come simpatica storiella da raccontare durante le cene con gli amici.
A diversi anni di distanza, procedendo con la ricerca sulla grotta, mi è capitato nuovamente di imbattermi in questa entità magica e misteriosa.
Sono infatti numerosi i testi che associano la figura femminile alla Grotta dei Saraceni, non ultimo la relazione
di Pierangelo Torielli, datata 1994.
Ma chi era la maga Alcina?
Non è facile dare una risposta. Contestualmente alle Grotte in esame, si tratterebbe di una sacerdotessa druidica che viveva perennemente nella cavità e che aiutava ad officiare vari rituali.
In genere la maga Alcina è una trasformazione medioevale della figura della Sibilla. Ma mentre quest’ultima appariva di animo buono, la maga Alcina doveva essere malvagia e possedeva il vizio di trasformare gli uomini che si innamoravano di lei in animali.
Il paragone con l’Odissea di Ulisse è fin troppo palese.
Anche Lodovico Ariosto nel suo "Orlando furioso" ci parla della maga Alcina, questa volta bellissima.
La versione presente ad Ottiglio è sicuramente positiva e buona, oltre che di una bellezza sconvolgente.
Appare in vesti bianche, caratterizzata da lunghissimi capelli biondi e si muove con lentezza e tranquillità, il suo corpo sarebbe, secondo a chi l’avrebbe potuta osservare, circondato da un debole alone luminoso e fluorescente.
Occorre ricordare che più persone trovarono strane fluorescenze all’interno della grotta, del tutto simili alla fioca luce che accompagna le apparizioni della maga.
Esistono diversi racconti di curiosi capitati nei pressi della grotta durante particolari periodi di apparizione.
Una storia che sovente viene ricordata è quella di un ragazzo che attraversava la valle detta dei Guaraldi per raggiungere più velocemente la fidanzata.
Una sera molto tardi, trovandosi nei pressi della cavità, vide muoversi tra la vegetazione la maga luminosa.
Ne fu terrorizzato a tal punto da non voler più attraversare più la valle per raggiungere la propria compagna la
sera.
Sono numerosi anche i racconti che sostengono che le apparizioni della maga non siano casuali ma che avvengano in ben precisi periodi dell’anno.
In molti asseriscono che proprio la notte di Natale ci sia una buona probabilità di vedere apparire la maga.
Ma non dobbiamo lasciarci ingannare dalla data di chiare origini Cristiane. Il 25 dicembre è una data molto prossima al Solstizio d’Inverno, che avviene intorno al 21 dicembre.
In questa data il Sole attraversa il 30° del Sagittario per entrare nel Capricorno, segnando il passaggio al nuovo anno solare.
E’ altamente probabile che questa data derivi da una distorsione di un’altra leggenda molto interessante che aleggia intorno alla Grotta dei Saraceni e che parla del culto sotterraneo del dio Mithrà.
Essendo Mithrà una divinità solare, come Ra lo fu per gli antichi egizi, date quali i solstizi erano sicuramente accompagnate da rituali di ringraziamento.
Questa teoria potrebbe tentare di spiegare la misticità della data che ancora oggi vuole essere tra i momenti di maggiore probabilità di incontrare la maga.
In conclusione sono molte le persone che, spinte dalla curiosità, si siano appostate durante la notte di Natale all’imbocco della Valle del Guaraldi, e che testimoniano di aver visto la maga almeno una volta.
Secondo altre leggende, il vero custode della grotta e dei suoi segreti sarebbe un enorme serpente alato, che vivrebbe nei tratti allagati della grotta, pronto ad assalire i curiosi.
Il vero pericolo che aleggia a Moleto, è in realtà la cava che ha devastato lo splendido paesaggio monferrino, che minaccia la Grotta dei Saraceni con tutti i suoi segreti e che potrebbe averne già distrutta una buona parte.
Bibliografia:
- Alberto Fenoglio : "A caccia di tesori, magia e realtà nei castelli piemontesi." - Torino, Piem. in Bancarella,
1978. - pp. 275"
- Alberto e Maria Fenoglio : "Le società magico segrete, Massoneria, riti e rituali, cerimonie e magia nei
sotterranei." – Edizioni MEB, 1998
- Pierangelo Torielli : "La Grotta dei Saraceni 1958-1994"
 

 

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