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By. Federico Cappello

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 a cura di Federico Cappello   (Vice Presidente "Amici della Natura")

Nel comune di Ottiglio si trova il colle di S. Germano che, come molti altri della zona ha subito fenomeni carsici di erosione dovuti ai corsi d’acqua sotterranei che, scorrendo all’interno della roccia, nel corso dei secoli, hanno scavato cavità al suo interno.
Alcune di queste cavità comunicavano con l’esterno permettendo all’uomo antico di adoperarle come rifugio, riparo e giaciglio.
Le prime notizie in merito risalgono però al 300 d.C., periodo durante il quale un insediamento romano avrebbe costruito il fortilizio della Bicocca e un mitreo all’interno del colle.
L’esistenza di quest’ultimo non è mai stata provata anche se esistono molte testimonianze di persone che l’avrebbero visto. La sua ricerca è il nostro obiettivo principale.
Tra l’800 ed il 1.000 d.C. le grotte del colle di S. Germano costituirono il rifugio di bande di Saraceni che vi siinsediarono per via della facilità geo-morfologica di difendere l’ingresso della valle.
Quello fu un periodo di razzie e scorribande che devastarono i vicini paesi. La leggenda vuole che l’ororazziato venisse nascosto in queste cavità, di cui si dice si rifugiassero addirittura con i cavalli e che avessero estensioni chilometriche.
Ancora nel 1600 le grotte venivano adoperate da sbandati, disertori, zingari, grassatori e banditi, per gli stessimotivi che spinsero i Saraceni ad insediarsi in quel posto.
Fu allora il Governo Mantovano, nel 1626, ad intervenire facendo esplodere gli ingressi a queste grotte,senza curarsi del fatto che all’interno potessero ancora esserci uomini ed animali, oltre che al tesoro nascosto.
Un nobile del luogo, il conte Mola, nello stesso anno, incuriosito dai racconti dei ragazzini del paese che dicevano di essere penetrati in un luogo molto strano, decise di avventurarsi. Dobbiamo a lui la prima testimonianza scritta in cui viene descritto l’ambiente, il mitreo ed inoltre aggiunge di aver trovato anche l’ambiente in cui giaceva il tesoro nascosto.
Stranamente non iniziò il saccheggio da parte sua, ma un laborioso lavoro di cui diremo più avanti.
I suoi scritti, però, restarono nascosti in un libro, custodito nella biblioteca del seminario di Casale fino al 1927 quando Pietro Maschera lo trovò casualmente.
Iniziò da quel momento una serie di scavi abusivi da parte di alcuni abitanti del luogo, alla ricerca degli ingressi, ormai ostruiti da terra e da detriti.
Pare che dopo molto lavoro questi personaggi riuscirono a penetrare all’interno del mitreo dove trovarono are, piramidi in roccia, sedute, vasi lustrali e maschere cerimoniali. Queste ultime, stando ai racconti, vennero da loro stessi distrutte a picconate in quanto ritenute spaventose.
A questo punto delle ricerche vennero denunciati dai carabinieri chiamati dal proprietario del terreno che disse di non volere la terra estratta dalla grotta riversata nella sua proprietà. In realtà sentiva voci sempre più  insistenti relative al tesoro per cui temeva che gli altri fossero prossimi al ritrovo.
Il gruppo di ricercatori non desistette ma riprese a scavare a 40 metri di distanza, in una proprietà di uno di loro.
Avevano intenzione di scavare una galleria capace di intercettare il luogo sterrato sull’altro fronte. Un’opera veramente impegnativa portata a termine dalla famiglia Cirio.
E’ probabile che non dovettero scavare a "cavo cieco" una galleria, ma più facilmente ne intercettarono una pre-esistente, anche se ostruita da terra e detriti, e la sterrarono.
Percorsi circa 40 metri i Cirio non si accorsero di essere più alti rispetto al punto di incontro ed inoltre raggiunsero l’ambiente ricercato giungendo alle sue spalle.
Questa imprecisione causò un nuovo interro del mitreo in quanto decisero di scaricare il materiale asportato in quella voragine che si era aperta sotto di loro, senza rendersi conto che era l’ambiente che cercavano. Era certamente meno faticoso che riportare fuori dalla galleria appositamente realizzata i materiale rimosso, oltre al fatto che si sarebbe ripresentato il problema di dove riversarlo.
Molti altri scavi e parecchie altre indagini, anche da parte di due gruppi speleologici si susseguirono negli anni.
Lo stesso giornalista e scrittore Aldo di Ricaldone pubblicò sul giornale Il Monferrato una numerosa serie di articoli sulle grotte a metà degli anni ’80.
Apparentemente senza mai scoprire nulla. E’ invece mia convinzione che molte persone siano a conoscenza dei segreti del colle di S. Germano.
Ma torniamo indietro al conte Mola. All’epoca della sua scoperta, essendo stato il Governo stesso a volere l’ostruzione, èi mmaginabile che l’area fosse tenuta sotto controllo.
Questo fu il motivo che lo fece desistere dal saccheggio.
Scrisse infatti che "i tempi non erano maturi". Tornò nelle grotte e nascose gli oggetti di valore in quattro nicchie che coprì con lastre di pietra sulle quali incise dei simboli capaci di identificarle in un secondo tempo.
Ma non si limitò a questo. Fece creare 3 o 4 epigrafi che fece apporre al proprio castello e ad alcune chiese romaniche del territorio comunale di Ottiglio.
In queste epigrafi erano contenuti dei messaggi da decifrare e che avrebbero indicato il punto in cui l’accesso alle grotte era ancora agibile.
Queste epigrafi sono state studiate dal di Ricaldone e poi sono sparite, messe al sicuro in qualche luogo a noi ancora ignoto. Ma esistono ancora molti altri misteri da svelare, come, ad esempio, la presenza di un lago sotterraneo situato all’interno delle grotte.
 
I misteri celati dai Saraceni:
Da vari anni a questa parte, in molteplici circostanze, furono propinate al pubblico dei lettori, notizie quasi sempre errate, relative alle cosiddette "Caverne dei Saraceni" ubicate nell'area comunale di Ottiglio, precisamente nel colle di San Germano, nella zona confinante con i territori dei Comuni di Frassinello e di Olivola. L'alone di mistero che circonda tale vicenda e le grotte stesse, suggerì a troppi fantasiosi indagatori, conclusioni sbagliate, provocando una deforme distorsione interpretativa della
questione. Soprattutto a motivo della mancata indagine geologica, toponomastica, d'archivio e di biblioteca che avrebbe apportato ad una fitta serie di nozioni a volte sbalorditiva e incredibile, se non fosse scrupolosamente stata da noi documentata.
Dall’anno 1954, lo scrivente si è interessato, dapprincipio per motivi giornalistici, poi di studio, dell’argomento. Attraverso l’arco di moltissimi anni  fu possibile raccogliere una miriade di notizie del tutto inedita, relativa a quello che rimane tuttora il mistero delle caverne di Ottiglio.
Diciamo mistero, non per enfasi giornalistica fuori luogo, ma perché dal 1954 al 1984 nonostante gli innumeri0si tentativi posti in atto da chi scrive e da quanti si sono più o meno dilettantisticamente avvicinati alle grotte, mai nessuno è riuscito - e probabilmente per i motivi che esporremo - mai nessuno riuscirà a svelare il mistero degli ipogei del colle di San Germano di Ottiglio.
La vicenda, aggrovigliata come tutte le storie concernenti grotte e caverne, si snoda attraverso la fitta documentazione svolta da chi scrive, sulle fonti citate. Se, come ha scritto Balzac, la realtà supera sempre l'immaginazione, mai come nella circostanza in esame, il detto si può applicare al tortuoso avvicendamento di fatti, episodi, avvenimenti che formano lo straordinario involucro entro il quale rimangono emblematicamente sigillate le misteriose caverne che hanno fatto sognare intere generazioni
di appassionati alla ricerca di un deposito archeologico (vulgo: tesoro), chiuso nel loro grembo, che se scoperto segnerebbe davvero una data storica negli annali dell'archeologia piemontese.
Le affermazioni che via via esporremo nel corso di questi articoli, sono scrupolosamente documentate dalle carte degli archivi, dai reperti archeologici, dalle fonti bibliografiche, dagli studi toponomastici così da portare per la prima volta all'attenzione degli studiosi e del pubblico dei lettori che seguono - ci risulta con qualche interesse - questi nostri scritti, una panoramica sicura, sgombra da sovrastrutture fantastiche, su quella che possiamo, senza tema di esagerazioni, definire l'incredibile vicenda delle
caverne di San Germano.
Prima di affrontare l'argomento, premettiamo che seguendo la metodologia storiografica che prevede la scientifica e documentata esposizione dei fatti corredata da relative prove, abbordiamo la questione, principiando dallo spoglio delle fonti ricordate, per stabilire - conditio sine qua non - l'esistenza di caverne nel colle di San Germano, ubicato, questo, nell'area comunale di Ottiglio, tra l'epicentro urbano e la frazione di Moleto, nella zona in parte utilizzata dalle cave industriali dal calcare. La breve analisi
geologica sarà seguita dall’esame dei tre documenti chiave per dimostrare la presenza degli ipogei di San Germano: il primo gruppo di carte fu scoperto, del tutto casualmente, nel 1926 dal casalese Pietro Maschera, il secondo da chi scrive nel 1956, il terzo da persona ignota nell'inverno del 1970.
Le memorie se pur dovute a persone diverse che scrissero rispettivamente, la prima, sul finire del XVI - inizio del XVII secolo, la seconda nella metà del Settecento e nei primissimi anni del decorso secolo, infine la terza a metà circa dell'Ottocento, presentano una esposizione dei fatti che collima perfettamente, convalidandosi a vicenda.
Per un adeguato controllo della veridicità di quanto esposto dai tre personaggi che - dopo lunghe e pazientissime indagini d'archivio -pensiamo di avere identificato, abbiamo raccolto nozioni complementari di carattere archeologico che hanno condotto alla scoperta di quattro epigrafi risalenti al 1626 o agli anni immediatamente successivi a tale data che comprovano adeguatamente le affermazioni di tre relatori vissuti nelle citate rispettive epoche.
Attraverso quindi l’interpretazione delle fonti appena accennate e delle molteplici esaminate nei successivi articoli, gli ipogei di San Germano testimonierebbero la presenza archeologica di tre conseguenti cicli storici: il primo risalente all'età romana (e su queste colonne dimostrammo con lo studio della toponomastica ottigliese, le notevoli tracce lasciate nell'area comunale in oggetto dalla civiltà latina) attestata l'esistenza di un Mitreo, cioè di un luogo di culto di Mithra, ossia del Sole, nelle caverne, con abbondante materiale annesso, tuttora ivi sepolto.
II secondo ciclo documenterebbe lo stanziamento negli ipogei di San Germano, nel X secolo, dei Saraceni, la cui presenza è legata dalle cronache medioevali alla località di Frassinello Monferrato, con successiva ulteriore presenza archeologica relativa a quei predoni.
Il terzo ciclo prevede l'occupazione delle caverne di San Germano, di soldati, disertori, sbandati, frequenti nelle guerre secentesche, attestati nelle grotte nel 1620 - 1625 circa e colà murati vivi "con uomini e cavalli ancora in qualche numero nascosti" (per usare l'espressione delle memorie settecentesche) nel 1626 allorché l'ingresso delle caverne fu occluso per ordine del Senato ducale di Monferrato onde porre termine alle scorrerie di quelli che si erano da soldati trasformati in briganti.
Tale la stringata sintesi della vicenda sulla base della ricca documentazione raccolta in trent'anni esatti di indagine sulla zona.
Le caverne si aprivano nella valle dei Guaraldi
Una prima indagine sulle grotte di Ottiglio condotta nel 1927 da Pietro Maschera - Una vena d'acqua sotterranea – Sfiatatoio
Dieci milioni di anni or sono - assicurano i geologi - dopo un periodo di relativa tranquillità, il fondo di quel mare, che in età protostorica, frangeva la risacca sulle Alpi, riprese a sollevarsi, formando il complesso roccioso del tufo, più noto come "pietra da cantoni". Emersero le colline di Crea, Ottiglio, Olivola, Rosignano, Mombello, Salabue, Castel San Pietro. Tale, l'atto di nascita del colle di San Germano, nell’area comunale di Ottiglio, nel cui grembo si dipanano le cosiddette "caverne dei Saraceni". Prima di studiare storicamente le vicende umane relative alle caverne stesse, documentiamo la loro esistenza attraverso l'esame geologico della zona.
La collina di San Germano, si presenta come un blocco roccioso (tufo) allacciato al nucleo centrale dal crinale che da Ovest declina verso Ottiglio. Notevole il flusso e deflusso delle acque che dall'interno del colle origina il torrente Ponara che nasce nella "Valle dei Frati", alle falde del colle di San Germano. Il rio recinge con ampia circonvallazione la collina di Moleto per finire, dopo un lungo percorso, nel più noto Rotaldo che si forma anch’esso nel territorio di Ottiglio, Ma alla base delle colline di Madonna dei
Monti, se pure alimentato da altri affluenti originati nell'area comunale ottigliese.
Nella Valle dei Guaraldi. che tale è il nome storico (ne vedremo l'origine nei successivi articoli) della valle dove ufficialmente si aprirebbe o si apriva un tempo l'ingresso delle "caverne dei Saraceni", due sono le sorgenti di acqua potabile che sgorgano dal colle di San Germano: la prima scaturisce a poche decine di metri dall'ingresso delle citate caverne per defluire e congiungersi con l'altra sorgente (testo illeggibile) valle, dopo un notevole percorso, si riversa nel ricordato Ponara. Documentata è inoltre la presenza di un capace bacino idrico sotterraneo, parte naturale, parteartificiale, sigillato nell’ingresso negli anni cinquanta, e perciò non visibile, ma da noi perfettamente ubicato, sulla scorta anche delle valide testimonianze tuttora in parte appariscenti.
Il bacino fu ampliato, o comunque ristrutturato, a metà dell’Ottocento dalla famiglia Barberis, da Moleto, proprietaria dell’antico stabilimento termale della Curella. Anzi, una serie di tubature, ancora  parte visibili nel 1954 e negli anni immediatamente successivi, convogliava le acque per il fabbisogno della Curella. Anche tale bacino si trova profondamente nascosto nel colle di San Germano ed è, con le altre fonti, originato dalle cavità naturali che si diramano "per longa estensione" nel grembo della
collina stessa.
La presenza di acque è già – come insegnano i geologi – prova evidente di cavità sotterranee. Ma noi documentiamo ulteriormente il nostro asserto, rilevando che nel 1927 Pietro Maschera nel corso della prima campagna relazionata di indagini sulle caverne, per invito del possidente Alessandro Cressano, abitante alla frazione Prera sul colle di San Germano, vide in una cascina della zona, sul pavimento della camera che fungeva da cucina, una fenditura sul cui fondo scorreva impetuoso un corso d’acqua. I
giornali accesi gettati in quello che geologicamente si presentava come un "camino" o fenditura naturale nella roccia, mostravano le irregolarità del condotto che scendeva in una voragine apparentemente senza fine.
Invano l’apertura fu cercata per anni dallo scrivente. Soltanto nel settembre 1968, sulle indicazioni del possidente Giovanni Celoria, fu identificata la cascina, ridotta a rudere (motivo questo che ne impedì l’identificazione) dove esiste la fenditura in oggetto. La vena d’acqua che scorre sul fondo è quella che alimenta la sorgente potabile della "Pozzetta" a Ovest del colle di San Germano. La profondità presunta del baratro, a livello d’acqua, sarebbe di circa sessanta metri: altra prova, data l'ubicazione della
cascina, della vastità dei percorsi idrici sotterranei e della stessa rete di cavità che apparirebbe ben più estesa di quanto abitualmente si suppone. Il rudere in esame è ubicato in una regione, tra l'altro, ricca di ricordi storici e toponomastici romani.
Ulteriore comprova dell'esistenza delle caverne dalle quali si dipartono i cosiddetti "camini" naturali, provocati dall'assestamento delle falde tufacee e dal dilavamento delle acque pluviali nel corso dei millenni, è la profonda scissione tuttora in atto sul colle di San Germano, esattamente sulla direttrice delle gallerie e delle caverne descritte e delineate nei documenti d'archivio che prenderemo in esame.
Già da tempo immemorabile al margine della antica strada Prera - Moleto, uno di tali "camini" funge da sfiatatoio dell'aria calda che nell'inverno fuoriesce a quando a quando in forma di vapore. Ma nell’inverno 1959-1960 per sommovimenti causati dai fronti di cava franosi, si apriva appena a qualche decina di metri dal citato "camino" una fenditura larga oltre 50 centimetri e profonda 17 metri: interrotta a motivo dei massi che, costituenti il "coperchio" hanno, nel crollo, intasato il condotto. Il sopralluogo del Gruppo Speleologico Piemontese (CAI-UGET) di Torino, nel I960, confermava - data la particolare formazione geologica e l'imponenza della frana - la sua prosecuzione ed il rapporto con cavità ben più ampie nell'interno del colle: cavità che si identificano con quelle delineate e descritte daidocumenti.
Nel luglio 1970 la fenditura (della quale esiste la dettagliata documentazione fotografica presso lo scrivente) fu sepolta con marne di riporto, nel corso dell'apertura di nuovi fronti di cava.
Ci pare, a questo punto, di aver dimostrato, con le testimonianze geologiche, la presenza nel colle di San Germano di cavità naturali, nelle quali scorrono acque potabili e sulfuree (segnalatamente quelle che alimentano ancor oggi la Curella) e si aprono "camini" che pongono simili cavità in comunicazione con l'esterno in varie località della collina stessa.
 
GLI ARABI ED I LONGOBARDI AD OTTIGLIO
Una chiesa fagocitata dalle cave smontata e ricostruita a Moleto
Due chiese anteriori al mille dedicate a San Germano e San Michele - II culto mitraico
La chiesa di San Germano sul colle omonimo, dall’esame delle recenti e antiche mappe catastali di Ottiglio, veniva a trovarsi sulla stessa direttrice dell'ingresso delle caverne dei Saraceni nella Valle dei Guaraldi che si apre alla base del colle.
La presenza di due chiese nell’areacomunale di Ottiglio, dedicate ad unostesso Santo, si potrà forse spiegare con lo studio di appositi documenti degli archivi ecclesiastici: indagine che è qui ovviamente fuori luogo svolgere.
Ricordiamo, soltanto con Mons.Ferraris (Le chiese "stazionali" delle rogazioni minori a Vercelli del sec. X al sec. XIV. in Boll. St. Vere. 1972, 29)la presenza in Ottiglio della chiesa di S. Eusebio. Pochissime le chiese di tal titolo nel Vercellese, mentre più numerose "nel Monferrato dove a giudicare dalla toponomastica, affiorano di frequente da zone di insediamenti germanici... dove la fede cristiana è penetrata con un certo ritardo o presumibilmente dopo un rigurgito di arianesimo" (G, Ferraris, op. Cit. 29).
La presenza documentata dei Longobardi in quel di Ottiglio (i quali come è noto, per un certo periodo seguirono l’eresia di Ario), spiega la dedicatio al Santo titolare della diocesi vercellese nella cui giurisdizione si trovò il Monferrato al di già del Tanaro fino al 1474. Da tali e da altre nozioni, emerge indubbia la presenza di culti cristiani eterodossi legati alle caverne dei Saraceni.
A mezza costa dello stesso colle sorgeva la chiesa romanica di San Michele, che dette nome ad un modesto casale, il tutto oggi fagocitato dalle cave. Per fortuna, nel 1908 la chiesuola, smontata, fu ricostruita a Moleto sempre nella zona di nostro interesse. Due sono le possibili origini della chiesa di San Michele. E' noto come l'arcangelo Michele fu il santo protettore dei Longobardi quando costoro aderirono al Cristianesimo, al punto che Re Cuniberto ne portava la figura sullo scudo e la stessa compariva sulle monete d’oro Longobarde.
Gli strorici che si sono occupati di quel popolo (quali il Bognetti, il Cavanna, lo Scheinder, etc.) concordano nell’attibuire ad origine longobarda le chiese paleocristiane dedicate a San Michele. La presenza nella regione di Ottiglio dei Germani nel VII - VIII secolo è ben documentata. L'ipotesi, allettante, di una origine germanica della chiesuola di San Michele è bilanciata però dalla presenza di proprietà terriere proprio nella zona adiacente alla chiesa, appartenenti alle monache di Trino, tali esplicitamente menzionate nei catasti ottigliesi del sec. XVI. Le "dominae" di Trino possedevano prati, boschi vigne e la cascina Cressano ubicata poco distante dalla chiesa di San Michele stessa.
L’incontro, in una regione abbastanza decentrata da Trino, di possedimenti di monache lascia supporre l’esistenza di una grangia di qualche ente religioso trinese, nel cui territorio le memorie relative all'Arcangelo Michele risalgono all'età longobarda, come hanno abbondantemente documentato quegli storici. Non essendosi ancora svolti studi adeguati per chiarire le relazioni tra le
"Rev.de monache Tridini" e i loro possessi sul colle di San Germano di Ottiglio, la questione rimane sospesa anche a motivo dell'incivile condizione dell’archivio storico comunale. In merito alla presenza di monache nella zona in esame, ecco quanto si legge nel già menzionato terzo manoscritto, scoperto da un anonimo nell'inverno del 1970: "Nel periodo in cui i Saracini
dimoravano nel nostro circondario seminando morte e terrore, esisteva e tuttora esiste un convento di suore sul colle (ora detto di San Michele).
Dette monache per evitare sevizie e angherie dalli briganti, si travestirono da contadine, lavorando nei campi con gli uomini addetti ai lavori delle terre del convento. Per pregare e celebrare la messa,  di nascosto e con grande fatica scavarono una grotta che servì per parecchi anni da chiesa. Spariti i Saracini e tornata la pace e la tranquillità, le suore e li paesani eressero sopra la grotta una cappella votiva a San Michele che liberi (sic) da tale flagello".
La fonte citata, tardissima rispetto agli avvenimenti narrati (e fors’anche sospetta diremo a tempo e luogo) presenta nozioni favolose, non essendo mai esistito un "convento" presso la chiesa di San Michele o comunque in zona, cosi come è da escludersi la presenza in loco di monache, residenti invece a Trino. L'unica nota positiva è (meglio: era) la grotta scavata si ignora quando e da chi, sotto la chiesa di San Michele, vista e fotografata dallo scrivente, ed ora scomparsa, ingoiata con il casale, dalle cave.
Rimane comunque significativa la presenza sul colle di San Germano, delle due chiese, entrambi anteriori al millennio, dedicate a San Germano ed a San Michele in una regione strettamente collegata ed influenzata dalle caverne dei Saraceni. La necessità di costruire due edifici sacri, poco distanti l'uno dall'altro, sullo stesso colle, nell’VIII e nel X secolo (e fors'anche prima)
confermerebbe il primo documento scoperto nel 1926 dove - diremo a suo luogo - sono attestatetracce di culto Mitraico, ossia solare dell'età romana, nelle caverne del colle sul quale sorsero inepoche successive due centri religiosi cristiani in contrapposizione - si direbbe - al culto gentile.

L’OCCUPAZIONE ARABA IN MONFERRATO

Esaminate le stratificazioni toponomastiche celto-liguri, romane, longobarde e carolingiche, nell'area comunale di Ottiglio, giungiamo alla successiva presenza saracenica, avvenuta nel corso del X secolo. L'argomento riveste basilare importanza non soltanto per la regione in esame, ma per le zone adiacenti, in quanto l'invasione dei Saraceni in loco si collega agli altri insediamenti degli Arabi, nel Novecento un poco ovunque presenti nel Piemonte centro-meridionale, quindi nel Monferrato, sui valichi alpini fino al Gran San Bernardo sul versante italiano, a Vienne su quellofrancese, a ventaglio sulla Riviera Ligure, provenienti essi dalla loro munitissima base di Saint-Tropez, in Provenza, dove costrussero il famoso Frassineti che dette nome, assicurano gli storici,agli altri Frassineti e Prassinelli subalpini a motivo della presenza araba in località che assunsero
conseguentemente la denominazione della matrice provenzale.
In questi ultimi tempi si nota un vigoroso risveglio tra studiosi ed enti culturali, relativo ai Saraceni in Italia. Il 16 marzo 1984 l'Ente Nazionale Italiano per il Turismo, diramava agli Enti provinciali una circolare concernente la raccolta "delle memorie islamiche in Italia", in particolare sulla "consistenza del patrimonio culturale relativo alla presenza degli Arabi e ai rapporti con il mondo islamico per il territorio di competenza", nella fattispecie la provincia di Alessandria, con riferimenti, tra l'altro, "ai rapporti intrattenuti nei secoli passati con l'Impero Ottomano e quindi iTurchi, i Saraceni etc.".
Alla citata circolare inviataci dall'Ente Provinciale per il Turismo di Alessandria, per la trasmissione di notizie ad hoc, risponderemo con questo ed i seguenti articoli che illustrano e documentano l'invasione Araba nell'alto e nel basso Monferrato nel X secolo. Anche un illustre studioso veneto notati questi articoli ha chiesto ulteriori particolari.
Mancano purtroppo studi capillari sulle testimonianze saraceniche nei comuni monferrini reperibili attraverso lo spoglio attento delle voci catastali. Le fonti ufficiali subalpine non sono certo prodighe di nozioni sull'avventura saracenica, che, come ben scrisse Bruno Luppi (I Saraceni in Provenza, in Liguria e nell'Italia Occidentale, Bordighera 1952) occupa per il Monferrato e per il Piemonte singolare significato.
Basterà por mente alla tragica situazione nella quale si trovò l’Italia Occidentale alla metà del sec. X, dopo la decadenza e la scomparsa dell'Impero Carolingio, quando i Saraceni, padroni dei valichi alpini, razziavano indisturbati il Piemonte e la Liguria con assalti e scorrerie ch'ebbero per le nostre zone e per quelle popolazioni ben tragiche conclusioni. Intorno il 950, la situazione era giunta ad untale rilassamento che Berengario d'Ivrea, appena eletto Re d'Italia, resosi edotto delle tragiche condizioni sociali, rimaneggiò la vecchia marca, di Tuscia creando tre nuovi organismi.
Si tratta delle tre Marche di confine, ormai famose nella storia piemontese: la marca d'Ivrea (con i comitati di Torino, Auriate (= Saluzzo e Cuneo), Bredulo (= Mondovì), Albenga e Ventimiglia, affidata ad Arduino d'Ivrea, La Marca di Liguria Occidentale (con i comitati di Savona, Alba, Acqui, Asti e Monferrato) concessa ad Aleramo conte di Monferrato. La Marca di Genova o di Liguria Orientale con i comitati di Genova, Luni, Tortona della quale fu insignito Oberto conte di Luni. Scopo della nuova strutturazione politico-geografica era l'opposizione sul mare e nell'entroterra piemontese alle orde saraceniche la cui presenza nelle nostre regioni raggiungeva untal punto di protervia da costringere alla istituzione dei tre citati territori di frontiera, uno dei quali -
 la Marca, poi Marchesato, infine Ducato di Monferrato - occuperà tanta parte nella storia italiana e subalpina.
Ma l'occupazione islamica nel Piemonte centro-meridionale, quindi nell'alto e basso Monferrato, sconvolti i vecchi organismi carolingi, produsse un totale sovvertimento sociale - economico con la formazione della ben nota pleiade della feudalità minore e dei consortili feudali e la spinta alle istituzioni comunali agli albori del millennio e nel successivo secolo. come ben rilevarono, tra gli ultimi, Ubaldo Formentini e il citato Bruno Luppi che trattarono l'argomento dell'invasione saracenica in Liguria.
Se il fenomeno dell'occupazione araba fu studiato accuratamente dagli storici francesi per la Provenza e le Alpi Occidentali e dagli storici Liguri per Genova e le due Riviere, pochi e scarsi (a parte i racconti folcloristici e leggendari nelle cronache minori) i cenni sulla vicenda araba in Piemonte, sempre sottovalutata e troppe volte relegata (fatta qualche eccezione) nel novero delle
saghe e della curiosità.
II Monferrato, infine, quale entità statale che abbraccia la regione dal Po all’Appennino Ligure, è pressoché privo di uno studio completo che ricerchi la presenza dei Saraceni attraverso le tracce toponomastiche dei catasti dei molti Comuni dove gli Arabi si imposero.
Nel 1965 apparve il lavoro di chi scrive con un primo tentativo di delineare la storia dell'invasione saracenica in Monferrato: testo in alcune parti superato, come diremo, quando documenteremo la presenza dei Saraceni nella regione di nostro immediato interesse legata al più vasto contesto delle vicende che videro i predoni islamici invadere e saccheggiare con un corollario di stragi spaventose, le nostre terre, tra il 906 e il 960 circa, ed attestarsi, a quanto traspare dalle cronache se pur tardive, nelle caverne del colle di San Germano di Ottiglio.

QUANDO IN MONFERRATO C’ERANO I MORI

Attività militari anche dei longobardi con un fortilizio (Bicocca) sullo sperone del colle di S. GermanoMoleto, la frazione borgata di Ottiglio,al confine con il Comune diCellamonte, ricca di belle costruzionisette e ottocentesche e con la chiesache reca tracce romaniche, sorgeva nelsecolo X nel fondo valle, esattamentenel gomito laddove la Ghenza piegaper restringersi e confluire verso le"Caverne dei Saraceni".
Le mappe antiche e contemporanee testimoniano la precedente ubicazione con il toponimo "Moleto basso",Moleto, infatti, al pari di Molo(frazione di Borghetto di Alessandria),di Mologna nel Biellese, di Moglia frazione di Moncucco (Asti) e di altri ancora, deriva
dall’aggettivo latino Molleus (cfr. Dante Olivieri: Diz. Di top. Piem. 1965, 219 sgg.) vivo ancora,tale aggettivo, nella forma dialettale di Moleto che suona Mueli.
La regione dove sorgeva Moleto basso era pregna d’acque (nei dintorni fu costruito appunto lostabilimento termale della Curella) così da presentare un conglomerato di campi molli, donde ilsuffisso collettivo in – eto: Moleto. Rettifichiamo quindil’interpretazione del toponimo Moleto fluito dalla forma dialettale Mulei, supposta derivazione, questa, dall’arabo Muley con significatodi capo, signore etc. Errore nel quale incorremmo vent’anni or sono nei primi studi sullatoponomastica locale e del quale facciamo ammenda.
Al pari della maggioranza dei centri rurali monferrini sorti in posizioni elevate per intuibili motividifensivi, anche Moleto, per cause che si possono identificare con la presenza dei Saraceni o Barberi, in zona, fu ricostruito, abbandonata la posizione sul fondo valle, sulla serra che è lanaturale derivazione del colle di San Germano e dove, appena i documenti scritti ne porgono
testimonianza, primeggia la famiglia dei Barberis che detiene in suo potere la quasi totalità della borgata, (testo illeggibile) i latifondi del territorio ottigliese e naturalmente i catasti attestano la presenza sullo sprone del colle di San Germano ad un centinaio di metri dall’imbocco dell’ultima parte della valle Ghenza, là dove essa muta nome in Valle dei Guaraldi, di una Bicocca.
Il catasto (sec. XV – XVI) ricorda: "ad bichocham", "prope bichocham", etc., a mezza via tra la scomparsa borgata di San Michele e l’imbocco della valle dei Guaraldi. Costruzione ormai ingoiata dai fronti di cava. Interessante il significato di Bicocca fornito dai testi (tra quali il classico Vocabolario universale della lingua italiana, del Tramater, 1847, II, 167): "piccola rocca o castello in cima de’monti" ed anche "torretta", oltre che "piazza da guerra mal fortificata e disadatta alla difesa".
Ancora nel secolo scorso piemontese "bicocca" è viva con tale significato (cfr. Vittorio di Sant’Albino: Gran diz. Piemontese-italiano, 1859, 247) In prosieguo di tempo e per traslato,quando le molte costruzioni militari o paramilitari sparse nelle nostre campagne, deperirono edecaddero, con il vocabolo "bicocca" si indicò un castello, una torre, un fortilizio "diroccato", "dirupo", ma sempre con riferimento ad edificio bellico, per poi trasferire il significato anche a costruzioni civili in cattivo stato di manutenzione e quasi ruderi.
Ricordiamo la ben più celebre Bicocca di San Giacomo, frazione del comune di San Michele,circondario di Mondovì dove il 16 aprile del 1796 avvenne il sanguinoso scontro tra i Piemontesi del generale Colli ed i Francesi di Bonaparte, e l’ode famosa con lo stesso titolo di Carducci.
La Bicocca dunque che sorgeva all’imbocco della valle dei Guaraldi, fu una costruzione di patente origine militare o paramilitare, già esistente nel Quattrocento, sorta per il controllo della valle dove si aprono gli ingressi delle caverne dei Saraceni.
I documenti superstiti a partire dal secolo XV attestano la famiglia Barberis da Moleto, proprietaria dell’edificio e tale essa l’ebbe in possesso nei secoli successivi fino alla seconda metà del Settecento. Ci pare notevole il rapporto tra la "Bicocca" e la famiglia Barberis tenuto presentequanto abbiamo esposto. Ma una ulteriore sorpresa riserba l’indagine d’archivio. Abbiamo scritto che la valle dove si aprono gli ingressi delle caverne dei Saraceni, è definita nel catasto ottigliese  partire dal Quattrocento (in quanto i catasti anteriori sono perduti) quale "vallis Guaraldorum", cioè Valle dei Guaraldi. Ci saremmo aspettati di incontrare il nome dei Saraceni, invece troviamo un toponimo di chiara origine germanica, da ascriversi ala serie dei nomi longobardi presenti in zona,
quali Rotaldo ad Ottiglio e Vermaldo a Frassinello.
Infatti il genitivo plurale del tedesco Garaldus (cfr. D. Olivieri: op. cit. 1965, 169) indica il possesso privato della famiglia o dei discendenti dal germano Guaraldo o Garaldo. Il patronimico, nella forma Garardus per la nota roticizzazione della l, è documentato nell’anno 924 a Calliano. (Cfr. F.Gabotto: Le più antiche carte dell’arch. Capit. Di Asti, Pinerolo 1904, doc. n. 46).
La valle in esame, dunque, fu abitata e posseduta dai longobardi nel VII-VIII secolo, al tempo del loro capillare e massiccio stanziamento in Ottiglio e nei paesi limitrofi. Naturalmente anche le grotte conobbero quegli invasori. Il nome dei Saraceni, sarebbe però rimasto accollato alle caverne che si aprono nella valle dei Guaraldi, mentre la valle stessa ritenne il nome dei precedenti occupanti e possessori guidati dal germano Guaraldo.
Un dato di fatto resta comunque sicuro: longobardi e/o Saraceni o altri occupanti, costrussero per motivi di difesa o di offesa il fortilizio definito Bicocca sullo sperone del colle di San Germano,proteso nella valle poco distante dalle caverne.
Ci troviamo di fronte ad una attività militare legata alle grotte, le quali dall’esame attento dei documenti, denotano non soltanto per la zona in esame, di essere l’epicentro e il covo di raccolta dei più svariati elementi etnici occupanti la regione che forma l’oggetto di questo studio.

LE INVASIONI SARACENE IN MONFERRATO

Le aree comunali di Ottiglio, di Frassinelle e di Olivola paiono infine direttamente interessate alle invasioni saraceniche, anche dalle interessanti informazioni dell'abate Giuseppe Antonio de Morano, il quale nel suo manoscritto: "Saggio storico sulla città e chiesa di Casale S. Evasio in Monferrato, circondario II nel dipartimento di Marengo, XVIII divisione militare" annota: "Ma dal Cronista, della Novalesa, peggio ancora si narra la storia delle scorrerie dei Saraceni in esso secolo X dal loro covile disfatto nell'occasione seguente, appunto in queste nostre parti del Monferrato, cioè Frassinelle ed Olivola comuni del circondarlo di
Casale". Dopo aver narrato la cattura dello zio del cronista novalicense, il de Morano, rammenta, l'episodio del conte Aimone,
identificabile con Aimone conte di Vercelli, il quale venuto a diverbio per la divisione di bottino, con i suoi amici arabi, chiesto l'intervento di altri signori feudali, annienta i Saraceni presso il "castello di Frassinello che nelle colline a cinque miglia di Casale trovasi distante, dove si fu ilteatro di questa spedizione".
Il de Morano passa quindi a descrivere le caverne dei Saraceni di Moleto, delle quali diremo a tempo e luogo. Sulla figura deIl’"Aimo, coetaneus" dei Saraceni, citato dal cronista della Novalesa,ci sarebbe parecchio da scrivere, soprattutto sulla conferma di Ticineto e Frassineto, con altre terre, a lui effettuata dall'imperatore Ottone nel 964. Frassineto sul Po rientra nel mosaico delle possibili sedi arabe della nostra regione.
I Saraceni ancora nel 961 pattugliavano i dintorni di Casale, saccheggiando la frazione di San Cataldo verso Villanova, tanto da costringere gli abitanti a rifugiarsi ed a stabilirsi definitivamente nel paese all'ombra sicura del castello. "Scomparve così la frazione di San Cataldo e vi rimase solo la chiesa anch'essa ormai destinata all'abbandono e alla rovina" (cfr. V. Bussi: Brevi cenni storici sopra il comune, la parrocchia e le chiese minori di Caresana, Vercelli 1937, 24). A Frassineto Po già il Capra (Frassineto nell'arte, nella storia, nel folclore, 11) notò la presenza ab immemorabili di cognomi quali [AI] Gerino, Turco, Moretto, etc., che potrebbero avere qualche rapporto con lo stanziamento degli arabi in sede. Ma per documentare tale affermazione occorre un apposito studio sui toponimi e sui patronimici del locale catasto risalente alla prima metà del XVI secolo.
La riscossa cristiana, della quale già si è fatto cenno, che provocò la ritirata dei Saraceni nelle coste liguri, infine a La Garde Freinet, dove furono disfatti totalmente nel 975, favorì il sorgere delle abbazie benedettine e dei conseguenti priorati e grangie, sull'Appennino, in Piemonte, nell'alto e La monofora absidale della chiesa di San Michele, disegnata nell’estate del 1958, quando l’edificio non era ancora tutto ricostruito a Moleto dove si trova tuttora.
Nel basso Monferrato, nelle zone particolarmente devastate dagli Arabi.
Aleramo, con la moglie Gerberga figlia di Re Berengario II, nel 961 fondava il monastero di Grazzano, dedicato al Salvatore, a santa Maria, a san Pietro ed a santa Cristina. Varie le cause dell'iniziativa marchionale: il cenobio sorto sul confine delle diocesi di Asti e di Vercelli, in zona che ricalcava i limiti dei due comitati carolingi, favoriva la politica aleramica nei confronti dei due
episcopi, così come la chiesa di San Mauro di Pulcherada (San Mauro Torinese) fondata dai Principi monferrini, serviva di baluardo contro l'infiltrazione sabauda nel Torinese e nella regione finitima.
Non è inoltre senza significato la fondazione del citato monastero di Grazzano nel territorio dove tra Tanaro e Po, gli Arabi avevano particolarmente seviziato le popolazioni riducendo alla miseria e alla disperazione gli abitanti. I cenobi benedettini iniziatori e promulgatori del lavoro agricolo, curavano il disboscamento delle colline, quasi abbandonate dagli agricoltori, la coltura della vite e del grano, la canalizzazione delle acque, in una parola, favorivano in tutti i modi possibili la rinascita della terra devastata e deserta dopo le incursioni barbariche.
Aleramo, dunque, con l'istituzione del monastero di Grazzano, assolveva a due compiti principali: quello politico, l'altro di carattere sociale ed economico. Affermazioni queste, convalidate dalla presenza di una grangia benedettina sul colle di San Germano di Ottiglio, epicentro e covo delle scorrerie saraceniche. La grangia dedicata all'Arcangelo Michele, si è precisato, era una derivazione dell'abbazia di San Michele di Lucedio, in quel di Trino.
La costruzione dell'anonima chiesuola può essere attribuita al X secolo ed è davvero significativa la presenza di una filiale - ossia grangia – del monastero trinese nella sede del covo arabo di Ottiglio.
Sì ignorano fino ad ora i personaggi che hanno favorito la venuta dei Benedettini da Trino ad Ottiglio nel X secolo, che, se conosciuti, getterebbero luce sull'oscuro periodo che trattiamo.
Ricordiamo infine che nella regione circostante l'area comunale di Ottiglio sorsero, agli albori del Millennio, le chiese benedettine di San Cassiano di Cereseto, Santa Maria dei Monti, nel territorio stesso di Ottiglio, San Benedetto di Camagna, San Benedetto di Lignano (Frassinelle), San Bartolomeo di Rosignano, Sant'Agata di Pontestura, Santa Maria di Rocca delle Donne (nel cui territorio abbiamo documentato sulla scorta delle carte del monastero, la notevole toponomastica
araba).
Fu potenziata e sviluppata la chiesa di Santa Maria di Crea; e la chiesa di Santa Maria di Vezzolano possedette proprio a Moleto vasti beni immobili, dove ancora nel 1239 il prevosto di Vezzolano ed Uberto di Moleto erano in lite per la determinazione dei confini di latifondi in loco.

Un rabdomante trova ad Ottiglio le caverne usate dai Saraceni

Sul colle di San Germano opera due volte padre Innocenzo di Piovera - Gli scavi del Maschera
La nostra indagine storica mette ora a fuoco le vicende relative alle grotte o caverne dei Saraceni, nel colle di San Germano di Ottiglio, Le memorie anteposte risultano basilari per l'adeguata illustrazione dell'area territoriale dove si aprono le cavità in esame.
È bene precisare come negli ultimi quindici anni, le caverne di Ottiglio siano state pubblicizzate con notizie prive purtroppo di qualsiasi fondamento storico e logico, come diremo a tempo e luogo. La nostra inchiesta, svolta in trenta anni esatti di indagine e tuttora in atto, pare abbia portato lo studioso a conclusioni nette e ben documentate che pubblichiamo per la prima volta su queste
colonne così da porre il punto fermo su di un argomento che in troppe occasioni fu manipolato con faciloneria da persone assolutamente digiune della complessa vicenda.
Nel maggio 1954 per motivi giornalistici e per la raccolta di memorie per un testo di storia monferrina, scrissi al segretario comunale di Ottiglio per ottenere eventuali ragguagli sulle vicende delle caverne dei Saraceni. (testo illeggibile) Maschera ha scavato nella collina di San Germano di questo comune in cerca di un ipotetico tesoro, consumando un piccolo capitale.
Dopo di lui una famiglia del paese ha continuato gli scavi spendendo tempo e danaro senza nulla trovare. La leggenda vuole che nella località si siano fermate le orde dei Saraceni, lasciando nascosto in gallerie sotterranee il presunto tesoro. Se credesse di fare un sopralluogo qui nel paese, troverebbe certo Luigi Cirio che ha aiutato il padre negli scavi e che potrebbe darle qualche
spiegazione". Sugli scavi del Cirio diremo in seguito.
Il nome del defunto casalese Pietro Maschera gioca un ruolo basilare nella storia delle caverne perché fu lui a scoprire la prima parte della documentazione d'archivio riguardante le caverne di Ottiglio.
Sezione del colle di San Germano con il percorso principale e schematico delle gallerie, redatta sulla scorta dei documenti del 1626 e del sopralluogo effettuato nel 1926 dal cappuccino rabdomante Padre Innocenzo da Piòvera.
Nel 1926, egli, studente all'Istituto Magistrale di Casale, frequentava la biblioteca del Piccolo Seminario di via Facino Cane, per la consultazione di testi cinque e seicenteschi utili per i suoi studi.
Nello sfogliare le Lettere di San Girolamo, nell'edizione di Aldo Manuzio del XVI secolo, scopriva piegate in quattro, dieci paginette coperte d'una grafia minuta ed elegante illustrate con curiosi disegni. Esaminato con calma il fascicoletto, il Maschera capì trattarsi di una relazione anonimarisalente, credette egli, alla fine del Cinquecento, ma che noi fu poi datata, ne diremo i motivi, al 1626 o negli anni immediatamente successivi.
Il testo presentava affermazioni talmente originali da lasciare perplesso il Maschera che dapprincipio non seppe cosa decidere in proposito. La zona dov'era ambientata la vicenda non gli era ignota, perché sua madre, una Scoffone da Casorzo, era legata da vincoli di parentela con la famiglia del defunto possidente Alessandro Cressano, abitante alla frazione Prera, sul colle di San
Germano dove sovente il Maschera trascorreva le vacanze estive e il periodo della vendemmia.
Aveva egli in tal modo udito si narrare vaghe notizie sulle caverne, ma con la scoperta del documento eseguì una inchiesta in zona per ottenere maggiori nozioni sull'ubicazione delle caverne stesse. In quegli anni era assai noto, e lo fu in verità fino alla morte avvenuta in Alessandria il 5 giugno 1957, il cappuccino Padre Innocenzo da Piòvera, celebre rabdomante che eseguì, tra l'altro,
nel ventennio anche indagini in Libia, per incarico governativo, onde accedere alla scoperta di falde acquifere.
Pietro Maschera combinò un sopralluogo ad Ottiglio per sottoporre la collina di San Germano ad un controllo da parte di Padre Innocenzo da Piòvera, Questi confermò la presenta di cavità, di corsi d'acqua (sorgenti e torrentelli) aggiungendo altri particolari dei quali tratteremo a suo luogo. Il 28 novembre 1954 Padre Innocenzo, mi scriveva: "Ricordo benissimo di essere stato nella zona di Ottiglio e nel sopralluogo eseguito di aver riscontrato tracce di minerali nel sottosuolo: di ferro ed
anche tracce di oro: però data la distanza del tempo non ho più presente l'entità di questi minerali e la profondità ove si trovano".
Nel successivo sopralluogo effettuato nel 1956, Padre Innocenzo da Piòvera delineò a grandi linee il percorso della galleria principale, della caverna centrale, della galleria che un tempo sfociava nella valle cosiddetta "dei Frati" e le fenditure o "camini" che pongono in comunicazione il complesso sotterraneo con la superficie del colle di San Germano.
Precisiamo che gli ipogei sono ubicati a notevole profondità sotto la collina di San Germano al di fuori dell'area devastata dalle cave. Le indagini geologiche e la frana del 1960 confermarono pienamente le affermazioni di Padre Innocenzo.
Ma per tornare al 1926 ed a Pietro Maschera, diremo che egli, dopo il sopralluogo del cappuccino rabdomante tentò uno scavo o sondaggio nell'ingresso per cosi dire "ufficiale" delle caverne dei Saraceni nella valle dei Guaraldi.
Purtroppo, com'egli stesso ebbe a confidarmi amaramente, ripose troppa fiducia in quanti lo aiutarono: quindici furono i manovali da lui assoldati e regolarmente pagati per lo scavo nell'ingresso delle caverne: scavo che si rivelò infruttuoso a motivo della fitta rete di gelosie, intrighi, minacce anche aperte contro di lui, in quell'inverno del 1926-1927.
Nel febbraio del 1927, mentre gli scavi procedevano lentissimi e frammentari, una denuncia provocò l'intervento in loco dei Carabinieri di Ottiglio che pretesero la consegna del "tesoro"
scoperto. Esistendo il "tesoro" soltanto nella fantasia dei lavoranti, i tutori dell'ordine fecero sospendere gli scavi ed inviarono alla Procura, del Re, di Casale, il verbale d'ufficio.
Inquisito ed interrogato, Pietro Maschera preferì distruggere il documento originale onde evitare guai peggiori. Rimasero gli appunti e le copie dei disegni e della mappa delle caverne, ottenuti per ricalco.
Quelli stessi che mi furono consegnati nel 1955 e che dettero il via alla seconda fase dell'indagine che portò alla scoperta nel 1956 degli altri documenti che confermarono m gran parte il fascicolo de 1626.
 
 

 

 

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